Torna al centro del dibattito pubblico la questione della rivalutazione delle pensioni per gli anni 2022 e 2023.
Un nuovo ricorso affidato alla Corte Costituzionale potrebbe modificare gli esiti precedenti e aprire la strada a possibili rimborsi per i pensionati penalizzati.

La controversia riguarda in particolare il metodo con cui sono stati calcolati gli aumenti delle pensioni, applicati in modo non progressivo e quindi potenzialmente lesivi del principio di equità fiscale.
La rivalutazione delle pensioni nel biennio 2022-2023: un meccanismo contestato
Nel dettaglio, la rivalutazione delle pensioni per il periodo 2022-2023 aveva adottato un sistema a fasce di rivalutazione con percentuali decrescenti in base all’importo del trattamento pensionistico, ma con un’applicazione non proporzionale rispetto alle singole quote di pensione. Le fasce applicate erano le seguenti:
- 100% per i trattamenti fino a 4 volte il minimo pensionistico;
- 85% per quelli sopra 4 e fino a 5 volte il minimo;
- 54% per quelli oltre 5 e fino a 6 volte il minimo;
- 47% per quelli sopra 6 e fino a 8 volte il minimo;
- 37% per quelli oltre 8 e fino a 10 volte il minimo;
- 32% per quelli sopra 10 volte il minimo (ridotta poi al 22% nel 2024).
Il problema cruciale, evidenziato dal ricorrente e ora esaminato dal Tribunale di Trento, è che tali aliquote sono state applicate sull’intero importo della pensione, non solo sulla quota eccedente. Questo approccio ha comportato una riduzione più marcata per i pensionati con trattamenti elevati, andando contro il principio di progressività, che solitamente prevede un trattamento differenziato solo sulle fasce di reddito superiori.
Il nuovo ricorso alla Corte Costituzionale e le implicazioni per i pensionati
Il nuovo ricorso, come confermato dall’Agenzia Ansa, è stato promosso da un pensionato che ha subito tali riduzioni nella rivalutazione, il quale contesta soprattutto il metodo adottato e non l’entità complessiva del taglio. La questione sottoposta alla Consulta è dunque la legittimità costituzionale di questo meccanismo, che potrebbe essere ritenuto lesivo del diritto alla progressività fiscale e, di conseguenza, alla corretta perequazione delle pensioni.

Se la Corte dovesse accogliere il ricorso, si aprirebbe la possibilità di riconoscere rimborsi a favore dei pensionati che hanno subito i tagli più pesanti. Si tratta di una prospettiva che, diversamente dalla precedente pronuncia della Consulta, potrebbe concretizzarsi in un ristoro economico, con un impatto rilevante per migliaia di beneficiari.
Rivalutazione pensioni 2024: un meccanismo meno penalizzante ma ancora sotto osservazione
Nel frattempo, per il 2024, il governo ha adottato una rivalutazione meno gravosa rispetto al biennio precedente, con percentuali applicate in modo più graduale:
- 100% di rivalutazione per pensioni fino a 4 volte il minimo (circa 2.400 euro mensili);
- 90% per la quota sopra 4 e fino a 5 volte il minimo;
- 75% per la parte eccedente 5 volte il minimo.
Questo significa che una pensione di importo medio ha visto un aumento integrale dello 0,8%, mentre le pensioni più alte hanno beneficiato di incrementi parziali calcolati per scaglioni, attenuando in parte le critiche ricevute negli anni precedenti.
Nonostante ciò, la vicenda resta sotto stretta osservazione, con l’attenzione rivolta all’esito del giudizio della Consulta che potrebbe ridefinire principi fondamentali di tutela per i pensionati italiani e influenzare futuri interventi legislativi in materia di perequazione pensionistica.