Nel cuore della Toscana, si estendono spiagge di sabbia bianca dall’aspetto paradisiaco, che però nascondono una realtà.
L’inchiesta di Report ha riportato alla luce i retroscena di un grave inquinamento ambientale provocato dagli scarichi della vicina fabbrica del bicarbonato di sodio Solvay, multinazionale chimica belga con una lunga storia alle spalle, ma anche contorni controversi.

La sabbia bianca di queste coste, apparentemente incontaminata, è in realtà il risultato diretto degli scarichi industriali prodotti dallo stabilimento Solvay, attivo nel territorio fin dal 1912. La multinazionale ha scaricato in mare, solo nel 2017, quantità preoccupanti di sostanze tossiche e inquinanti: 4,18 tonnellate di arsenico, 5,96 tonnellate di cromo e 13 tonnellate di benzene, oltre a numerosi altri agenti nocivi. I livelli di mercurio nell’acqua superano i limiti di legge, e in mezzo secolo si stima siano stati rilasciati circa 400 tonnellate di questo metallo pesante lungo la costa.
Questi scarichi, autorizzati per anni in deroga alle normative vigenti, hanno lasciato ovunque tracce di carbonato di calcio, residuo della lavorazione del bicarbonato, che l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’ambiente ha definito fin dal 1999 tra le aree più inquinate al mondo, con costi di bonifica stimati attorno ai 40 milioni di dollari.
Nonostante i rischi evidenti, le spiagge continuano ad attirare turisti, incuranti del cartello di divieto di balneazione esposto in zona. Il servizio di Report ha sottolineato come la multinazionale abbia sviluppato attorno allo stabilimento un’intera città, fornendo abitazioni e servizi per la comunità locale, in un legame stretto con la figura di Ernest Solvay, il fondatore e padre del processo industriale del bicarbonato.
Impatti ambientali e sanitari: un allarme reale
La produzione di bicarbonato richiede ingenti quantità di acqua e sale, risorse estratte localmente dal fiume Cecina e dalle saline di Volterra, le quali sono praticamente riservate all’uso esclusivo di Solvay tramite un accordo ventennale con i monopoli di Stato. Tale sfruttamento intensivo ha causato un serio problema di dissesto idrogeologico nell’area di Volterra, con conseguenze che si riflettono sull’ecosistema circostante.
Dal 2003 è emerso chiaramente un problema di eccessivi scarichi di solidi sospesi, con la presenza di polvere bianca che si estendeva ovunque. Un accordo tra Ministero dell’Ambiente, Regione Toscana, Provincia di Livorno e Solvay stabilì un limite massimo di 60.000 tonnellate annue di scarichi solidi, ma l’azienda non è riuscita a rispettarlo. Lo Stato, di fatto, ha alzato la soglia a 250.000 tonnellate, adeguandosi così alle emissioni dell’industria.
Questa situazione ha un impatto diretto sulla salute degli abitanti locali. Claudio Marabotti, medico e ricercatore del CNR di Pisa, ha evidenziato che il rischio di sviluppare mesotelioma pleurico nella zona è triplicato rispetto alla media regionale. Inoltre, le polveri di scarto bianche sono state disperse anche in discariche lontane dallo stabilimento, alcune delle quali oggi utilizzate per la coltivazione di grano, aumentando ulteriormente la contaminazione ambientale.

L’inquinamento da Solvay non si limita a Rosignano. Il programma Report ha approfondito anche la situazione dello stabilimento di Spinetta Marengo (Alessandria), dove l’azienda è stata condannata in appello per disastro ambientale a causa dell’inquinamento da Pfas, sostanze perfluoroalchiliche altamente tossiche. Nonostante la proibizione di questi composti, Solvay ha da almeno sette anni sostituito i Pfas con sostanze analoghe di nuova generazione, per le quali non esistono ancora standard di sicurezza o analisi definitive.
Particolarmente grave è lo scandalo legato all’acqua contaminata delle falde sotto la fabbrica di Spinetta Marengo, che veniva distribuita gratuitamente alla popolazione in totale inconsapevolezza del rischio sanitario.